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Tredici o “Come Sopravvivere Quando Nessuno Vuole Ascoltare”

C’è differenza tra sentire e ascoltare. Ce l’hanno sempre detto, fin da piccolini. Sembra sia l’esempio più gettonato quando si vuol parlare di differenze di significato.

Puoi sentire qualsiasi cosa e non prestare attenzione. Ascoltare, invece, è un processo attivo, che ti porta a riflettere, a cercare di capire, ad avere un tuo pensiero riguardo ciò che stai ascoltando, ad aiutare, se ce ne fosse bisogno.

Segnali. Tredici è fatto di tanti piccoli segnali, che insieme compongono un racconto scomodo, mai buonista e assolutamente reale.

Ma facciamo un passo indietro. Che cos’è Tredici? Vediamo la sinossi:

Tratta dal bestseller di Jay Asher, la serie originale Netflix “”Tredici”” segue Clay Jensen (Dylan Minnette), un ragazzo che al ritorno da scuola trova sulla porta di casa una misteriosa scatola con su scritto il suo nome. Dentro la scatola sono custodite alcune audiocassette registrate da Hannah Baker, sua compagna di scuola per la quale aveva una cotta e che è si è suicidata due settimane prima. Nelle registrazioni, Hannah spiega i tredici motivi che l’hanno spinta a togliersi la vita. Clay è forse uno di questi? I produttori esecutivi di Tredici sono Tom McCarthy, Brian Yorkey, Selena Gomez, Joy Gorman e Kristel Labili.”

Una premessa molto interessante, una base che porta lo spettatore a dover affrontare un percorso insieme al protagonista maschile della storia, Clay. Si tratta di una serie che va vista come telespettatore attivo, quindi, che si pone domande, si interroga, cerca indizi. Noi siamo Clay.

La serie è molto realistica. Anche sul piano strettamente tecnico: ho adorato la scelta di Hannah, una componente già presente ovviamente nel romanzo (di cui vi parlerò in un altro post), di usare delle musicassette. Di allontanarsi dalla tecnologia, di scegliere di non avere a che fare con l’era digitale, che ha portato sicuramente il bullismo, lo slut shaming e molte altre problematiche ad un livello successivo. Un livello troppo alto.

Sul piano della caratterizzazione dei personaggi, amo come praticamente quasi tutti siano delle incredibili merde, passatemi il termine, ma umane. Merde umane. Sono adolescenti. E purtroppo molti adolescenti sono proprio così.

Ci riflettevo scrivendo un racconto, tempo fa, gli adolescenti sono tra le creature più cattive del mondo. Perché devono sopravvivere, più degli adulti, in un contesto dove sono costantemente giudicati, etichettati, bullizzati e anche messi da parte. Spesso si deve sopravvivere al liceo, e non è una passeggiata.

Lo storytelling è molto intrigante, un episodio tira l’altro e gli autori hanno fatto un ottimo lavoro in questo senso. La serie ha una struttura che ti invoglia ad andare avanti e finire. Si tratta di una vera serie da binge-watcher, come Stranger Things e The OA. Sembra un lunghissimo film.

Un altro punto a favore della serie è che il dolore di Hannah non è da subito percettibile. Non è un qualcosa che a prima vista diresti che esiste. Si tratta di un dolore profondo, scavato un po’ alla volta, fino a diventare troppo grande e probabilmente non colmabile (secondo la protagonista).

Sì, perché questa è anche una serie sui punti di vista. Sulle proprie versioni. Ognuno pensa di essere nel giusto, ognuno pensa di affrontare un dolore. Tutti pensano di avere una giustificazione.

Quando ho iniziato la serie, quindi durante  la visione dei primi episodi, mi sono detto: questa Hannah Baker è una mitomane. Perché sta facendo questo? Perché sta sottoponendo anche Clay a tutto questo? Perché?

Andando avanti con la visione mi sono accorto di quanto mi sbagliassi. C’è da dire, che i primi capitoli della serie sono sì forti, ma mai pesanti, oscuri e strazianti come quelli finali. Se nei primi vediamo tutto ciò che si affronta regolarmente al liceo: la perdita di un’amicizia, un ragazzo che fa lo stupido, voci non vere, insulti nei bagni (ci siamo passati tutti, probabilmente. Tutti abbiamo subito una tra queste cose), più avanti ci troviamo di fronte a temi molto più duri e oscuri.

Più vai avanti con gli episodi, più la visione diventa difficile. Non per le scene crude, ormai in televisione vediamo davvero di tutto, ma a livello emotivo. E una serie che sa scombussolarti sul piano emotivo, ha una storytelling vincente. E un cast vincente. Una regia vincente. Degli autori vincenti.

SPOILER ALERT

Per farvi un esempio: sapete quanto negli ultimi episodi ci siano scene visivamente difficili da sopportare. E lo sono, sono terribili da vedere, ho avuto difficoltà. Ma la scena che mi ha sconvolto di più, mi ha messo inquietudine, tristezza e profondo disagio è quella di Hannah dal consulente scolastico. L’uomo ha sentito ma non ha ascoltato. Ed è stato straziante dover vedere una ragazza che da dentro grida aiuto, avere una risposta del tipo: “vai avanti, non puoi fare niente se non vuoi parlare.”

Non avere una scelta. Non avere una via d’uscita. In quel momento ho percepito il profondo dolore di Hannah e l’impossibilità di risolverlo.

Questa è una serie reale, che non vi racconta una favola, è una serie anche spesso cattiva nel suo essere realistica e che non vuole scusarsi di ciò che mostra, perché ci fa vedere un qualcosa di assolutamente attuale e sempre problematico.

Se qualcuno avesse ascoltato Hannah, forse lei sarebbe ancora viva.

Una serie cruda, pesante, crudele, reale e vi dirò, forse necessaria.

Tredici ci vuole sicuramente impartire una lezione ma senza essere moralista, ci vuole dire di prestare attenzione  ma non lo fa con ovvietà. Ti racconta una storia per farti capire. Ti dà le ragioni, le motivazioni, non ti dice: “sii buono con gli altri, ascolta,” ti fa vedere perché è importante ascoltare.

 

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